Putin riconosce le repubbliche separatiste del Donbass e ordina una missione di “peacekeeping”

Putin riconosce le repubbliche separatiste del Donbass e ordina una missione di “peacekeeping”

Putin riconosce le repubbliche separatiste del Donbass e ordina una missione di “peacekeeping”



AGI – In una giornata dalla coreografia ben studiata, dopo un inedito Consiglio della Federazione russa trasmesso in Tv e un raro discorso alla nazione, il presidente russo Vladimir Putin ha riconosciuto l’indipendenza delle due autoproclamate repubbliche separatiste dell’Ucraina orientale, Donetsk e Lugansk, e ordinato l’invio dell’esercito russo in Donbass come “missione di peacekeeping”.

“Credo sia necessario prendere una decisione attesa da tempo: riconoscere immediatamente l’indipendenza e la sovranita’ della Repubblica popolare di Donetsk e della Repubblica popolare di Lugansk”, ha detto il leader del Cremlino, prima che la Tv di Stato lo mostrasse nella cerimonia ufficiale della sigla al Cremlino dei “trattati di amicizia e assistenza reciproca” con i leader dei separatisti ucraini filo-russi, Leonid Pasechnik e Denis Pushilin; ‘trattati’ che prevedono anche la possibilita’ di assistenza militare su richiesta, gia’ avvenuta nei giorni scorsi, dei leader ribelli.

Non a caso, il presidente russo ha invitato Kiev a cessare immediatamente le “operazioni militari” contro i separatisti filo-russi – che Mosca ha già bollato come “genocidio” – “altrimenti, ogni responsabilità per ulteriori spargimenti di sangue ricadra’ sulla coscienza del regime ucraino”.

La decisione, “assolutamente necessaria”, è stata motivata da Putin col fatto che, a suo dire, le autorità di Kiev non hanno intenzione di portare avanti una soluzione diplomatica in Donbass, che l’Ucraina “non ha una vera tradizione di nazione” e oggi è “una marionetta nelle mani degli Usa”, che a loro volta, con l’espansionismo della Nato “puntano solo a contenere la Russia”.

Anche se è possibile che Putin voglia al momento – da abile stratega – alzare la posta in gioco, per arrivare al possibile vertice con il presidente Usa, Joe Biden, da una posizione di maggiore forza, il riconoscimento di Donetsk e Lugansk – dove la Russia in questi anni ha concesso circa 800mila passaporti – e l’invio dei militari oltre confine segnano una concreta escalation sul campo.

Non è ancora chiaro il contorno preciso del riconoscimento russo, ma se si riferisse ai loro “confini amministrativi” prima di quella che Mosca definisce “l’occupazione ucraina” del 2014, questo avvicinerebbe a un conflitto reale, perche’ significherebbe strappare il controllo di alcune zone dentro le due regioni, come Mariupol, al controllo di Kiev.

Il concetto dei confini non è banale perché anche il dispiegamento dei peacekeeper russi potrebbe dipendere da questo: rimarranno nei territori conquistati dai separatisti o ‘sconfineranno’ anche nelle zone controllate dalle forze regolari?

Nella giornata di martedì, sia la Duma che il Consiglio della Federazione – i due rami del Parlamento russo – ratificheranno i trattati con Donetsk e Lugansk e poi Putin, dovrebbe rivolgersi al Consiglio della Federazione per avere l’autorizzazione a inviare l’esercito “oltre i confini russi”, ha spiegato all’AGI uno degli analisti militari russi piu’ popolari in patria, Viktor Baranets, firma del quotidiano Komsomolskaya Pravda.

Ex colonnello sotto Eltsin, licenziato nel ’97 per le critiche contro lo stato di degrado in cui versava l’ex Armata rossa, Baranets è convinto che si andrà alla guerra “per riparare a un errore” fatto nel 2014: “Allora, non abbiamo ascoltato allora la voce delle due repubbliche che con un referendum chiesero l’annessione alla Russia, perché abbiamo avuto paura della reazione internazionale dopo il clamore dell’operazione della Crimea e abbiamo lasciato che gli ucraini avessero il controllo su parte del territorio del Donbass”.

“Se la Russia invierà l’esercito, sarà per liberare entrambe le regioni dagli occupanti ucraini”, aggiunge l’analista, “perché la pace in Donbass è un obiettivo strategico per la Russia, serve rafforzarci nel Mare di Azov e impedire che l’Ucraina diventi piattaforma di armi nucleari Nato”.

A guidare l’operazione, ipotizza Baranets, “potrebbe essere Valery Gerasimov, capo dello Stato maggiore generale delle Forze armate russe o il comandante delle distretto militare del Sud, il più combattivo dei distretti russi, a cui potrebbero aggiungersi le forze della Flotta russa del Mar Nero e del Mar Caspio, per un totale di non meno di 300mila soldati”.

Sul rischio delle misure punitive da parte dell’Occidente, Baranets è convinto che i conti siano stati fatti e il passo del riconoscimento “è stata una decisione difficile, ma necessaria”. Lo ha detto anche il premier russo, Mikhail Mishustin, appoggiando la decisione del riconoscimento: “I rischi sono stati calcolati”.

L’Occidente ha condannato all’unanimità la mossa di Putin. L’Ue ha promesso di reagire con fermezza, il Regno Unito e gli Usa hanno già annunciato che vareranno sanzioni, per ora però colpendo solo gli investimenti a Donetsk e Lugansk. 

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Marta Allevato , 2022-02-22 05:13:56
www.agi.it

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